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Dal tavolo romano su Mirafiori emergono due narrazioni opposte, che raccontano con precisione il tira e molla degli ultimi mesi ma, di fatto, lasciano il finale aperto. La prima è quella ufficiale, che viene dal ministro delle Imprese e del Made in Italy: Adolfo Urso ha detto che per la sopravvivenza di Mirafiori è necessario produrre almeno 200mila vetture all’anno. "In una logica nazionale significa raggiungere l’obiettivo, confermato più volte dall’azienda, di un milione di veicoli realizzati in Italia", ha spiegato Urso, annunciando che la settimana prossima sarà a Torino. La richiesta del ministero è una e sola: “Mirafiori deve introdurre un nuovo modello di auto competitivo e rispondente alle esigenze del mercato interno, ma Stellantis deve chiarire con quali modalità intende raggiungere l’obiettivo”. Anche perché le vetture attualmente prodotte a Torino, come la 500 elettrica e la Maserati, sono rivolte soprattutto al mercato estero. Sulla stessa linea di Urso, il presidente del Piemonte Alberto Cirio: "Quello di oggi non è un primo passo, ma un percorso che continua. Abbiamo ottenuto importanti risultati lavorando come istituzioni con Stellantis per rendere nuovamente competitivo Mirafiori: l’hub europeo del riciclo, il battery technology center e il centro trasmissioni, che insieme fanno mille occupati, sono stati il frutto di un lavoro comune tra Regione, Comune di di Torino e azienda. Oggi si tratta di fare un passo in più". Ma non è tutto: "L’azienda ci dice che sta studiando un meccanismo che renda la 500 elettrica meno costosa - ha spiegato ancora Cirio - per poterne produrre di più, è un percorso intelligente che sosteniamo, ma che richiede del tempo. Serve una fase di transizione per la quale noi chiediamo un nuovo modello. La logica con cui lavoriamo è costruttiva, sabauda. Chiediamo lo sforzo all’azienda, ma diciamo che cosa le istituzioni possono fare per accompagnare questo percorso che deve portare a garantire il futuro di Mirafiori con 200.000 auto prodotte all’anno. L’azienda prevede che siano più 500 elettriche a minore costo, per noi serve anche un nuovo modello". 

Dichiarazioni a cui fa eco un prima, parziale, risposta dell’azienda: "Torino, con Mirafiori e tutto il Piemonte, è e lo sarà anche in futuro, la città o la Regione da cui parte tutto, il cuore pulsante di decisioni ma che coinvolgono il gruppo", ha affermato Davide Mele, responsabile Corporate Affairs di Stellantis in Italia al tavolo del Mimit. Il manager Stellantis ha confermato per Torino il piano "Mirafiori Automotive Park 2030": quindi manifattura (Fiat 500e e modelli Maserati, Gran Cabrio e Quattroporte), design, ingegneria e quartier generale italiano del gruppo.  

Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, dal canto suo, ribadisce come la nostra città sia una delle poche al mondo ad avere la capacità di costruire un’auto dall’ideazione al collaudo. "E’ proprio questo - ha aggiunto Lo Russo - lo spirito con cui la Città ha aderito allo sciopero del 12 aprile: come istituzioni confermiamo il nostro impegno e la nostra disponibilità a contribuire a costruire le condizioni perché il territorio torinese e Mirafiori siano autenticamente competitivi a livello nazionale e internazionale anche per dare la giusta prospettiva di crescita al sito produttivo più grande d’Europa e per garantire occupazione e ordinativi per le tante industrie dell’indotto che costruiscono la dorsale principale del nostro territorio dal punto di vista economico. Sono convinto che sulla base di questa interlocuzione si possano costruire solide basi per lo sviluppo dell’automotive sul nostro territorio".

La seconda narrazione, quella non istituzionale, proviene dai sindacati, portavoci delle istanze di tutti i dipendenti che rischiano il posto e che si dicono scoraggiati da un incontro definito insufficiente a risolvere la questione, soprattutto per l’assenza dell’amministratore delegato Tavares. “A Torino siamo nel disastro”, ha detto Edi Lazzi, segretario generale della Fiom-Cgil cittadina, specificando che “a Mirafiori si fa cassa integrazione da 17 anni e fuori c’è stata la chiusura di più di 500 aziende metalmeccaniche, con la perdita di 35mila posti di lavoro”. Senza un rilancio dello stabilimento che passi per nuove assunzioni di giovani, il rischio è la chiusura per consunzione e, di conseguenza, un ulteriore impoverimento di Torino, relegata a un ruolo marginale in quello che fu il suo cavallo di battaglia. Ormai è chiaro che il vento è cambiato.  




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