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Non c’è prova che i due boss della ’ndrangheta si servirono del "metodo mafioso" per raccogliere voti a favore di Roberto Rosso: è una delle ragioni per le quali, secondo quanto si legge nelle motivazioni della sentenza, la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna a 4 anni e 4 mesi di carcere per l’ex assessore regionale piemontese (che dopo l’apertura delle indagini si dimise e fu allontanato da Fratelli d’Italia). La Suprema Corte ha anche osservato che, proprio nelle settimane in cui si svolse la vicenda, il reato di voto di scambio-politico mafioso fu modificato proprio in quel periodo. Il caso risale al maggio del 2019, in prossimità delle elezioni regionali, quando Rosso stipulò un accordo con due persone legate alla ’ndrangheta. Secondo la Cassazione, però, è emerso soltanto che i due "agirono non in quanto emissari o rappresentanti delle cosche di riferimento, ma quali soggetti attestati in tali ambienti, e perciò accompagnati da fama criminale". E non c’è nessuna prova che i due si servirono del "metodo mafioso" per raccogliere le promesse di voto a favore di Rosso (al quale, peraltro, il loro interessamento fruttò poche preferenze). I giudici della Corte d’appello di Torino affermarono che "la prova del ricorso al metodo mafioso non fosse necessaria, attesa la sicura appartenenza alla ’ndrangheta dei procacciatori e la relativa fama criminale". Ma gli Ermellini rilevano che, per valutare nel complesso la vicenda, dovevano attenersi ai criteri della ’vecchia’ versione del voto di scambio politico-mafioso, che erano più restrittivi: invece, a quanto pare, hanno seguito quelli della nuova formulazione, varati con una legge del 21 maggio 2019 ed entrati in vigore solo l’11 giugno successivo.
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