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Velocità e uniformità hanno reso i testi standard una scelta quasi obbligata nella comunicazione pubblica e corporate. Tuttavia, quando modelli e formule prendono il sopravvento, il rischio non è l’errore, ma l’indistinzione.

Un messaggio può essere completo, conforme e puntuale, ma perdere efficacia nel momento stesso in cui viene percepito come “già visto”. In questi casi l’attenzione non viene conquistata, ma aggirata. Comprendere quando lo standard smette di aiutare e inizia a indebolire il messaggio è oggi una delle sfide più rilevanti della scrittura professionale.

 

Il modello che prende il posto del messaggio

Bandi, avvisi pubblici e comunicati ufficiali sono il panorama in cui il linguaggio standardizzato è più diffuso e spesso necessario. Riferimenti normativi, sequenze informative necessarie e formule di rito svolgono una funzione di garanzia e chiarezza procedurale.

Il rischio emerge quando il modello diventa l’unico elemento di distinzione del testo. Introduzioni identiche, passaggi prevedibili, chiusure intercambiabili generano un effetto di assuefazione. Il lettore abituale (cittadino, operatore, giornalista) impara a scorrere, saltare, anticipare. Non perché il contenuto sia irrilevante, ma perché la forma lo rende indistinguibile da altri testi simili.

 

Disattenzione e distanza come conseguenze

I testi standard causano innanzitutto disattenzione. Se tutto appare uguale, nulla si evidenzia come prioritario.

Un linguaggio impersonale e ripetitivo può inoltre far passare l’idea di una comunicazione come pensata per adempiere, non per dialogare. Questo indebolisce la relazione tra chi comunica e chi riceve, soprattutto nei contesti pubblici e istituzionali, dove la credibilità passa anche dalla capacità di farsi comprendere.

La chiarezza non è solo una questione di correttezza formale, ma di intenzione comunicativa: trasmettere la percezione che quel testo è stato scritto per qualcuno, non semplicemente secondo un modello.

 

Personalizzare senza tradire il format

Personalizzare un testo significa lavorare dentro il format per restituire senso e contesto.

Un incipit che chiarisce subito perché quel contenuto è rilevante, una sintesi orientata all’uso pratico, una spiegazione diretta di cosa cambia per il destinatario sono interventi minimi, ma importanti. Il modello è la cornice, non il protagonista.

Il lavoro editoriale in questo modo non è un abbellimento stilistico, ma una scelta strategica: rendere leggibile ciò che è già corretto, e comprensibile ciò che è già completo.


Dal modello al messaggio: una responsabilità culturale

La diffusione di testi standardizzati non è solo una questione stilistica, ma culturale. Scrivere seguendo un modello riduce il rischio di errore, ma non garantisce comprensione né coinvolgimento. In ambito pubblico e istituzionale, questo passaggio è cruciale: un messaggio non riconoscibile rischia di non essere percepito come rilevante. Restituire centralità al messaggio significa assumersi la responsabilità di farsi capire, non solo di essere corretti. Una sfida che riguarda chi scrive, ma anche chi progetta i processi comunicativi.

 

Ogni testo deve avere una voce

I modelli sono strumenti utili e necessari. Ma un buon testo nasce quando al modello si affianca una voce. Scrivere non è solo compilare campi, ma assumersi la responsabilità di farsi leggere.

Ciò che distingue una comunicazione che funziona non è la mancanza di errori, ma la presenza di intenzione. Un testo può essere impeccabile dal punto di vista formale e contemporaneamente non lasciare traccia.

Comunicare non significa solo dire le cose giuste, ma trasmetterle in modo riconoscibile; un testo senza voce può essere corretto, ma raramente sarà ascoltato.


Questo contributo è ispirato a un approfondimento pubblicato sul nostro sito. MOOV Comunicazione.
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