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Aveva 31 anni il detenuto che domenica scorsa si è tolto la vita nel carcere di Torino, appeso a un cappio rudimentale realizzato con un lenzuolo. Aveva 31 anni e probabilmente non doveva essere lì, nel padiglione A del Lorusso e Cutugno. Almeno secondo la Camera penale del Piemonte occidentale, che ieri ha presentato in procura un esposto in cui sostiene che l’uomo avrebbe dovuto essere collocato in una Rems, cioè una struttura sanitaria per i detenuti affetti da disturbi mentali. E questo già da novembre 2023. “Invece - spiega l’associazione di avvocati in una nota - ha atteso invano e non è stato curato”. Il giovane ecuadoriano era stato arrestato a fine agosto per il tentato omicidio del padre, preso a coltellate mentre dormiva. Una perizia psichiatrica aveva sottolineato la totale incapacità di intendere e di volere, ma il trasferimento nella struttura specifica tardava ad arrivare. Per questo la Camera penale piemontese parla di istigazione al suicidio, detenzione ingiusta e illegittima, e chiede che vengano svolti accertamenti sul mancato trasferimento e sulle attuali condizioni delle Rems, con particolare riferimento all’adeguatezza o meno dei posti disponibili. Purtroppo, nulla di nuovo: il suicidio del 31enne è l’ennesimo campanello d’allarme di una situazione sempre più complicata all’interno del carcere di Torino. «Ormai è fuori controllo, peggio dell’inferno e del Far West», denuncia l’Osapp, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Ritardi imperdonabili, celle sovraffollate e carenza di organico sono le micce che spesso fanno scattare tensioni e aggressioni ai danni del personale - sono già 15 gli agenti feriti da inizio anno - e nei casi più gravi si sommano a fragilità pregresse, che possono condurre i detenuti a scelte senza ritorno. E’ il caso del giovane ecuadoriano suicida. Il primo del 2024, l’ultimo di una lunga serie.