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A Torino è in corso un processo che vede coinvolti tre ex dirigenti della Progresso, una storica concessionaria d’auto del capoluogo piemontese, dichiarata fallita nel 2023. Gli imputati sono accusati di reati che vanno dal falso alla truffa, in relazione ai rapporti intercorsi con alcuni istituti bancari.
Durante l’udienza odierna, un testimone ha messo in evidenza come, al di là delle responsabilità penali eventualmente accertabili, le difficoltà economiche che hanno portato al crac dell’azienda sarebbero da attribuire in buona parte proprio al comportamento delle banche, in particolare di Intesa Sanpaolo.
I fatti risalgono al periodo 2019-2021. Progresso aveva siglato un’intesa con alcuni istituti di credito per ottenere linee di finanziamento in cambio della custodia delle carte di circolazione delle auto. Secondo l’accusa, però, la società avrebbe denunciato in modo fraudolento lo smarrimento di questi documenti per ottenerne dei duplicati, così da vendere i veicoli e incassare i proventi senza informare le banche. Il danno accertato, finora, riguarderebbe esclusivamente la Banca di credito cooperativo di Cherasco e ammonterebbe a circa 280 mila euro. I tre ex dirigenti, assistiti dagli avvocati Marco Feno, Claudio Strata ed Edoardo Carmagnola, respingono con fermezza ogni addebito.
In aula è stato ascoltato anche un esperto di ristrutturazioni aziendali, chiamato ad affiancare Progresso nell’ottobre del 2020 su incarico di un legale. "Mi era stata descritta come un’azienda in difficoltà – ha raccontato – ma la situazione che trovai era caotica. Gli uffici erano in un tale disordine che servì un lungo lavoro di ricostruzione documentale, anche con l’intervento della Guardia di Finanza. Non è da escludere che alcuni documenti siano effettivamente andati persi". Fu lui stesso, nel corso dell’inverno 2020, a sporgere le prime denunce di smarrimento presso i carabinieri.
Lo stesso professionista ha puntato il dito contro Intesa Sanpaolo, accusandola di aver causato "un disastro" revocando la linea di credito concessa alla Progresso. Una decisione che, a suo dire, spinse anche gli altri istituti a fare lo stesso. "È stato un gesto deliberato, ho denunciato subito la gravità della scelta alla Guardia di Finanza, al curatore fallimentare e al tribunale: quel fallimento, in parte, è responsabilità loro".
La revoca della linea di credito sarebbe stata motivata dall’arresto, nel 2019, di uno degli amministratori della società con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Tuttavia, l’uomo fu scarcerato dopo pochi giorni e successivamente assolto. Il professionista ha infine evidenziato come l’accordo tra Progresso e le banche – apertura di credito in cambio delle carte di circolazione – fosse, già in partenza, un’operazione atipica.