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L’esistenza di un’associazione per delinquere all’interno del centro sociale Askatasuna "non è dimostrata", ed è anche escluso che il sodalizio "sia stato in grado di esercitare un’egemonia su fenomeni di massa" come gli scontri di piazza o la commissione di reati durante gli attacchi al cantiere del Tav. Lo scrive il tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza del maxi processo agli attivisti del centro sociale, terminato a marzo. I giudici avevano inflitto 18 condanne per episodi singoli, assolvendo però tutti gli imputati dall’accusa di associazione per delinquere. La tesi della procura di Torino, portata avanti sulla scorta di una lunga indagine della Digos, era che all’interno di Askatasuna, centro sociale di area autonoma sorto alla fine degli anni Novanta dopo l’occupazione di un’antica palazzina abbandonata, vi fosse un nucleo di militanti che organizzavano e orchestravano manifestazioni destinate a sfociare in momenti di tensione, disordini e incidenti con le forze dell’ordine sia a Torino che in Valle di Susa.
Secondo il tribunale, però, alcuni degli elementi su cui si sono basati i pubblici ministeri non hanno trovato conferma, altri sono stati "smentiti" e altri ancora sono risultati del tutto "irrilevanti".
"Quanto al fatto - scrivono i giudici - che i componenti del sodalizio fossero in grado di esercitare una egemonia su fenomeni di massa come gli scontri in contesti cittadini e la commissione di reati durante gli attacchi al cantiere del Tav, la circostanza è stata esclusa da tutte le aggregazioni sociali che, insieme agli imputati, hanno organizzato quelle manifestazioni". Tra i militanti di Askatasuna c’è chi coltiva "idee rivoluzionarie", si richiama a Hezbollah e cova "astio verso le istituzioni" ma questo non significa fare parte di un’associazione, e non è nemmeno reato. E’ quanto osserva il tribunale di Torino nelle motivazioni della sentenza del maxi processo agli attivisti del centro sociale. Lo scorso marzo i giudici avevano inflitto 18 condanne ma solo per episodi specifici, assolvendo gli imputati dall’accusa di associazione per delinquere.La sentenza si sofferma sul contenuto di una conversazione fra tre militanti, intercettata durante le indagini, che i pubblici ministeri avevano richiamato a sostegno delle loro tesi. "Il tribunale - si legge - ritiene che tale conversazione dimostri sicuramente l’inclinazione degli interlocutori a coltivare idee rivoluzionarie e la loro ambizione a una trasformazione gli assetti istituzionali, indugiando anche esplicitamente su scenari informati a metodi non democratici (come si ricava dai riferimenti a Hezbollah, all’Eta, ad altre organizzazioni latino-americane). E dimostra altresì che i tre interlocutori coltivano sentimenti di astio verso le istituzioni e contemplino come utile anche il ricorso agli scontri con gli operatori di pubblica sicurezza, laddove funzionale ai loro propositi". I giudici però continuano osservando che "la conversazione contiene anche una analisi della situazione generale" (un’analisi che per di più viene definita dai magistrati piuttosto "confusa") con "riferimenti generici ad altre esperienze di protesta" come i Fridays for future e i Black lives matter. Per quanto emerga con chiarezza "l’impronta ideologica" degli intercettati, non si può dire altrettanto rispetto all’esistenza di una vera e propria associazione per delinquere.
Come viene sottolineato nella sentenza, nel corso del processo non sono state messe in discussioni le attività culturali, sociali e sportive portate avanti da Askatasuna a partire dal 1996. La procura di Torino, invece, ha sostenuto che all’interno del centro sociale un piccolo nucleo di militanti ha tentato di "strumentalizzare" le iniziative per fare proselitismo e cercare consenso. I giudici, però, hanno osservato che nessuna delle circa 40 testimonianze raccolte in aula su richiesta della difesa ha prodotto la prova della presenza di "capi" e di strutture organizzate genericamente: "la prassi era prendere le decisioni sempre all’esito di un percorso assembleare"